Sulla possibilità per i privati di partecipare ad una società in house

    Il Consiglio di Stato nel parere n. 1389 del 2019 ha stabilito i seguenti principi:

    a) che nel settore dei servizi idrici, sino a quando una specifica disposizione di legge nazionale, diversa dagli artt.  5, d.lgs. n. 50 del 2016 e 16, d.lgs. n. 175 del 2016, non stabilirà la possibilità per i privati di partecipare ad una società in house – indicando anche la misura della partecipazione, la modalità di ingresso del socio privato, il ruolo all’interno della società e i rapporti con il socio pubblico – deve ritenersi preclusa al privato la partecipazione alla società in house.

    b) che l’art. 149 bis Codice dell’ambiente, nella parte in cui effettua un richiamo all’ “ordinamento europeo”, non permette, allo stato, la partecipazione dei privati alla società in house perché proprio il richiamo all’ordinamento europeo effettuato dalla predetta norma nazionale impone una specifica previsione nazionale che ammetta, e disciplini, la partecipazione dei privati alle società in house (in termini analoghi i già richiamati articoli 5 Codice dei contratti pubblici e 16, d.lgs. n. 175 del 2016).

    c) che, in attesa della decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea (cui, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, spetta l’interpretazione dei trattati e degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione), a prescindere dall’eccezionalità o meno dell’in house providing, le norme che disciplinano tale istituto vanno interpretate restrittivamente anche per evitare che applicazioni analogiche, di fatto ampliandone il ricorso, possano trasformarsi in una lesione delle concorrenza che, come è noto, è tra i principi dell’Unione.

    La Sezione osserva che l’articolo 7 della legge della regione Piemonte 20 gennaio 1997, n. 13, nel riferirsi alla legge 142/1990, prende in considerazione l’affidamento del servizio o attraverso concessione a terzo scelto tramite gara oppure attraverso le società miste pubblico-privato; nessuna indicazione, invece, fornisce per il possibile affidamento in house anche in considerazione del fatto che all’epoca l’in house non si era ancora sviluppato e certamente non era oggetto di disciplina normativa.

    Inoltre, l’articolo 149-bis del codice dell’ambiente, facendo richiamo ai principi nazionali e comunitari, va interpretato nel senso che, nel rispetto dell’articolo 34, comma 20, d.l. 179/2012, si possa, tra l’altro, scegliere:

    a) di esperire una gara per la scelta del concessionario-gestore privato cui affidare la gestione del servizio idrico;

    b) di costituire una società mista, con socio operativo/industriale, cui conferire la gestione del servizio, a condizione che la gara per la scelta del socio sia preordinata alla individuazione del socio industriale od operativo che concorra materialmente allo svolgimento del servizio pubblico nel rispetto di quanto oggi stabilito dal d. lgs. 175/2016 (e, tra l’altro, dagli articoli 7 e 17 d. lgs. ora citato) nonché dalla giurisprudenza comunitaria (Corte UE, sez. III, 15 ottobre 2009 C196/08) e nazionale.

    c) di affidarlo a società in house.

    In quest’ultimo caso, come detto, occorrerà rispettare le condizioni richieste dalla disciplina europea così come sopra delineate.

    Con la conseguenza che il dubbio sollevato dalla regione Piemonte va sciolto nel senso che la partecipazione di privati al capitale della persona giuridica controllata è ammessa solo se prescritta espressamente da una disposizione legislativa nazionale, in conformità dei trattati e a condizione che si tratti di una partecipazione che non comporti controllo o potere di veto e che non conferisca un’influenza determinante sulle decisioni della persona giuridica controllata.

    Nel caso sottoposto all’esame del Consiglio, poiché, per un verso, la norma di riferimento per l’affidamento della gestione del servizio idrico è l’articolo 149-bis del codice dell’ambiente che chiaramente lo esclude e, per altro verso, manca una norma di legge che espressamente lo prescriva, la risposta al primo quesito deve essere negativa: sino a quando una specifica disposizione di legge nazionale, diversa dagli articoli 5 d. lgs. 50/2016 e 16 d. lgs. 175/2016, infatti, non prescriverà che i privati partecipino ad una società in house – indicando anche la misura della partecipazione, la modalità di ingresso del socio privato, il ruolo all’interno della società e i rapporti con il socio pubblico – l’apertura dell’in house ai privati deve ritenersi esclusa.

    Giova altresì ribadire che non può giungersi a diversa conclusione, come prospettato dalla regione richiedente, in considerazione del richiamo all’ “ordinamento europeo” che vi è nell’articolo 149 bis Cod. amb. perché, proprio l’ordinamento europeo richiamato, impone una specifica previsione nazionale che prescriva (e disciplini) la partecipazione dei privati alle società in house (in termini analoghi i già richiamati articoli 5 Codice dei contratti pubblici e 16 d. lgs. 175/2016).

    Per chiarezza terminologica la Sezione rileva, inoltre, che il riferimento al socio industriale contenuto a pagina 6 del quesito risulta corretto per le società miste mentre nel caso di società in house non può, per le ragioni prima esposte, portare a dare rilievo/influenza (maggiore di quella voluta dalla direttiva comunitaria) al socio privato a prescindere da come lo si voglia qualificare.

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